Come lavoro
Il mio modo di lavorare, in linea generale, prevede due fasi consecutive:
Consulenza Psicologica e Psicoterapia
Nella mia esperienza clinica, quando una persona si avvicina a uno psicologo, lo fa dopo una lunga riflessione e dopo momenti di esitazione. Spesso si tende a procrastinare il contatto con lo psicologo ma quando si decide di farlo non lo si fa a cuor leggero e il primo incontro è spesso carico di una comprensibile ansia se non addirittura paura.
Condividere con “uno sconosciuto” la propria intimità, i propri segreti, non è facile e per questo è necessario tatto, delicatezza, rispetto e competenza professionale. La persona va accolta con un’umana competenza.
Quando incontro la persona dico sempre che ci sono due fasi, la prima è connessa a:
- approfondire la conoscenza reciproca;
- conoscere il motivo che l’ha portata da me;
- individuare qual è il problema che sta alla base e le sue possibili risoluzioni.
Questa è la I fase di consulenza.
In questa fase iniziale io mi occupo di:
- Far sentire la persona a proprio agio;
- Comprendere il suo problema;
- Comprendere cosa desidera;
- Comprendere cosa si aspetta da me;
- Comprendere cosa posso io fare per lei;
- Fornire delle informazioni sul mio modo di lavorare;
- Fornire il mio punto di vista sul suo problema;
- Fornire le possibilità di risoluzione;
- Fornire informazioni amministrative e metodologiche;
Una volta definito che posso essere io il professionista indicato per lo specifico bisogno, ed esplicitata l’intenzione di proseguire nel lavoro terapeutico si definisce uno specifico contratto di lavoro terapeutico definendo metodologia e regole.
Questa segna l’inizio della II fase, quella terapeutica.
Qui di seguito un sintetico esempio clinico.
G. ha degli attacchi di panico. Approfondendo, scopriamo che gli attacchi di panico sono il segnale della paura di lasciare il lavoro.
G. riferisce che da tempo aveva già pensato di lasciare il lavoro, ma che ha paura a farlo. Sembra che questa paura sia connessa all’idea, trasmessa dai genitori, che è meglio non cambiare, è meglio non rischiare e tenersi quello che c’è.
Appare evidente sia a G. che al terapeuta, come l’attacco di panico sia connesso al suo desiderio di disobbedire al messaggio ricevuto dai suoi genitori. Pertanto, il lavoro psicologico mirerà a sostenere la persona nel liberarsi da questo messaggio genitoriale, che oggi lo limita, al fine di ritrovare il coraggio di seguire ciò che sente buono per lui.